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La Protezione Civile Regionale

Già nel 1287 gli statuti della città di Ferrara prevedevano che i capifamiglia delle zone rurali tenessero pronti una vanga, un rastrello, una zappa ed un badile per fronteggiare eventuale rottura degli argini del Po e che nel diciottesimo secolo i governanti dell'impero austro ungarico diedero riconoscimento legale ai Brentani (attrezzati con recipienti di legno appunto i brenta che riempiti ⁤acqua servivano a spegnere le fiamme), ai Nottin (coloro che pattugliavano le strade di notte per avvisare le popolazioni delesistenza di incendi) ed ai Saltari (che svolgevano compiti di guardie campestri, con incarico fra altro di segnalare eventi calamitosi quali frane e piene di torrenti).
Dopo l’unità d’Italia la legislazione aveva ancora un carattere per così dire contingente. Consisteva infatti in disposizioni adottate volta per volta, contenenti provvedimenti a favore dei sinistrati e direttive impartite a vari enti.

Nel 1926 con il R.D.L. n. 2389, convertito nel 1928 nella legge 883, e con il regolamento di attuazione del R.D.L. (contenuto nel D.M. 15 dicembre 1927), si comincia a delineare una struttura per così dire “permanente” per il soccorso alle popolazioni: la competenza viene affidata al Ministero dei Lavori Pubblici, ma alcuni compiti specifici vengono assegnati ad altre amministrazioni (ad esempio la Regia Aeronautica doveva provvedere ad immediate ricognizioni aeree, le poste garantire attraverso il telegrafo le comunicazioni).

Ancora si prevede la possibilità di nominare un Commissario governativo per la direzione di tutti i servizi e nasce l’antenato del Mercurio (ricordiamo che il piano Mercurio all’inizio degli anni 80 prevedeva che tutti i Comuni elencassero, con un sistema informatizzato le risorse in loro possesso). Infatti dovevano essere predisposti, aggiornati annualmente e trasmessi ai Ministeri dell’Interno e dei Lavori Pubblici, elenchi relativi ai funzionari da mobilitare, all’ubicazione di ospedali, magazzini, depositi di carburante etc.

Gli anni fra il 1935 ed il 1961 vedono la strutturazione su base nazionale dei servizi antincendi e, con la legge 469 del 1961, l’attribuzione al Ministero dell’Interno dei servizi tecnici per la incolumità delle persone e la preservazione dei beni e dei servizi per l’addestramento e l’impiego delle unità preposte alla protezione della popolazione civile. Si segna in questa maniera il passaggio da un Ministero “tecnico” ad un Ministero “politico”.

Intanto le calamità che si abbattevano sul paese, dall’alluvione del Polesine alla catastrofe del Vajont, e forse anche la visibilità che le conseguenze per le popolazione acquistavano grazie al diffondersi delle comunicazioni di massa (telegiornali, cinegiornali, riviste) sottolineavano l’esigenza di disporre di strutture e mezzi per il soccorso e, soprattutto, di organi unitari.

In mancanza di una disposizione univoca e formale si ricorse al solito ineffabile “coordinamento”, che, attuato fra enti che nemmeno si parlavano in condizioni di normalità, possiamo immaginare quali risultati potesse dare.

Solo nel dicembre del 1970 viene varata la legge 996 “Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità – Protezione Civile”, ma necessita, per diventare operativa, del regolamento di attuazione (D.P.R. 66/81). che viene decretato solo dopo undici anni e la famosa “sfuriata” del Presidente Pertini in visita sui luoghi colpiti dal terremoto dell’Irpinia (1980).

Gli undici anni non erano trascorsi invano: infatti il regolamento di attuazione contraddice profondamente la legge aumentando ulteriormente la confusione e le difficoltà. Solo per fare un esempio macroscopico la legge 996/70 prevedeva un importante intervento delle Regioni (che nascevano allora) sia per la pianificazione che per la gestione dell’emergenza, mentre il regolamento affida questi compiti fondamentali alle Prefetture, ed al Commissario di Governo il coordinamento dei piani provinciali di Protezione Civile. Inoltre nel frattempo nasce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile che si sovrappone ( senza sopprimerla) alla Direzione Generale della Protezione Civile e dei Servizi Antincendi del Ministero dell’Interno.

Occorrerà attendere altri undici anni - punteggiati da un susseguirsi di leggine, ordinanze, circolari ed addirittura, nel 1990, da un rinvio alle Camere, per la ristesura del testo, da parte del Presidente della Repubblica di una legge, già approvata, riguardante l’istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile – perché il 24 febbraio 1992 veda la luce la L. 225 “Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile”, ancora vigente. Due anni dopo il quadro si completa con la pubblicazione del Decreto del Presidente della Repubblica del 21 settembre 1994, n. 613, che reca norme concernenti la partecipazione della associazioni di volontariato alle attività di protezione civile.

I problemi relativi alla competenza dei Prefetti in materia di protezione civile sono stati portati all’attenzione di tutto il sistema protezione civile dalla cosiddetta circolare Morcone, Capo del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell’interno.

L’8 maggio del 2002 , infatti, il dott. Morcone emana una circolare con la quale in buona sostanza si afferma che, dato che l’articolo 108 del D.L.vo 112/98 attribuisce alle Province il compito di provvedere alla pianificazione provinciale di emergenza, ma non prevede nulla in merito alla direzione unitaria delle emergenze, nonostante difficoltà interpretative, si ritiene che la competenza sia comunque del Prefetto.

Questa tesi sarebbe stata rafforzata dal fatto che la L.401/01 ha richiamato in vita l’art. 14 della L.225/92.

Inoltre proseguiva affermando che siccome, comunque, il sistema normativo nel suo complesso attribuisce a Regioni, Province e Comuni importanti competenze in materia di previsione e prevenzione dei rischi, era necessario assicurare il forte coinvolgimento degli Enti territoriali.

In buona sostanza, utilizzando il richiamo nella L.401 dell’art. 14 della 225/92 si tentava di smantellare la riforma nel suo complesso.

Le reazioni da parte del sistema degli Enti Locali, e non solo, sono state, naturalmente, vivacissime.

Il 30 settembre il Capo del Dipartimento della Protezione Civile emana una circolare ad oggetto “Ripartizione delle competenze amministrative in materia di protezione civile” che con un notevole sforzo di chiarificazione di un sistema normativo complesso, precisa che, in buona sostanza che il sistema deve essere orientato a garantire il pieno coinvolgimento di tutti i poteri, statali e locali, nell’ottica di ottimizzazione delle risorse, senza voler creare situazioni di sovraordinazione di un’autorità rispetto alle altre.

In sostanza viene definito un quadro nel quale, al verificarsi di un’emergenza di tipo b), ferme restando le competenze del presidente della Provincia, il Prefetto assicurerà l’intervento di tutti i mezzi ed i poteri di competenza statale, realizzando la insostituibile funzione di cerniera fra realtà territoriali e stato centrale.

Al verificarsi di un’emergenza di tipo c), le competenze sono del Prefetto, in quanto, data la necessità di fronteggiare la situazione con mezzi e poteri straordinari, e quindi con provvedimenti “extra ordinem” ossia anche in deroga all’ordinamento giuridico vigente, le decisioni non possono che competere al rappresentante locale del Governo, unico titolare di tali poteri.

Evidentemente al momento dell’emanazione dell’ordinanza il Consiglio dei Ministri potrà individuare un altro soggetto quale Commissario delegato.

L’assetto così definito è assolutamente corretto dal punto di vista giuridico, ma crea senz’altro difficoltà al momento dell’azione.

Una soluzione pratica era stata trovata per la pianificazione di emergenza della Provincia di Ancona.

Probabilmente per la prima volta in Italia, infatti, era giunto quasi alla definizione il piano di emergenza provinciale, redatto insieme da tecnici della Provincia e della Prefettura, con il supporto del Servizio Protezione Civile della Regione; la individuazione dell’autorità responsabile dell’emergenza non era evidentemente cosa da poco. Alla fine, la soluzione è stata trovata scindendo le emergenze di tipo b) in due sottoclassi, cioè b) senza e con la necessità di adottare provvedimenti straordinari.

Questa soluzione continua ad essere considerata, anche fuori dalle Marche, un accettabile compromesso.

La soluzione invece per le emergenze di tipo c) è stata individuata con la legge n.286 del 27 dicembre 2002 concernente:”Interventi urgenti a favore delle popolazioni colpite dalle calamità naturali nelle regioni Molise, Sicilia e Puglia, nonché ulteriori disposizioni in materia di protezione civile.” che converte in legge il decreto emanato il 4 novembre 2002, cioè immediatamente dopo gli eventi del Molise.

In pratica con l’art.1, comma 1 si stabilisce che relativamente alle emergenze verificatesi nelle regioni Molise, Sicilia e Puglia il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, nominato Commissario delegato, coordina tutti gli interventi e le iniziative per fronteggiare le emergenze in atto, e con il comma 2 che per le finalità di cui al comma 1 lo stesso Capo del Dipartimento “dispone direttamente in ordine agli interventi di competenza delle strutture operative nazionali del Servizio nazionale della protezione civile di cui all’art. 11, comma 1, della Legge 24 febbraio 1992, 225”. Il comma prosegue prevedendo la possibilità di individuare sub commissari per determinati settori e la necessità di realizzare i necessari coordinamenti con le regioni e gli enti locali per assicurare la direzione unitaria dei servizi di emergenza.

L’articolo 2 stabilisce, fra l’altro, che il Capo del Dipartimento, per le finalità di cui alla norma in questione opera valendosi dei poteri del comma 2, art. 5 della L.225, ed in attuazione delle ordinanze adottate sempre ai sensi dell’art5 della L.225/92, definisce “la propria necessaria struttura organizzativa” utilizzando se necessario uffici e personale delle amministrazioni ed enti pubblici in sede locale, “compresi quelli militari” e può acquisire la disponibilità di beni mobili ed immobili e servizi anche trattativa privata.

In buona sostanza quindi al Capo del Dipartimento vengono conferiti tutti i poteri del commissario straordinario e la potestà di disporre degli interventi di tutto il sistema protezione civile, compresi militari, forze di polizia e vigili del fuoco fino ad oggi competenza del Ministero dell’Interno.

Inoltre, l’art. 3 della L.286/02 dispone che queste disposizioni trovino applicazione anche per il futuro, in occasione di eventi di tipo c), anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza, ogni volta che la situazione emergenziale lo richieda, e che il Presidente del Consiglio dei Ministri con proprio decreto, su proposta del Capo del Dipartimento, disponga il coinvolgimento delle strutture operative nazionali del servizio nazionale della protezione civile. Il Presidente della Regione volta per volta interessata viene “sentito”.

In buona sostanza cioè il Capo del Dipartimento viene individuato come commissario straordinario, con poteri anche sulle strutture operative che dipendono anche da altri organi dello Stato. Questo comporta, automaticamente il fatto che i Prefetti hanno in materia della gestione dell’emergenza competenze residuali, limitate alle emergenze di tipo b) che richiedano l’adozione di provvedimenti straordinari.

Ci troviamo quindi di fronte ad un momento di profonda trasformazione che richiede una progettualità concreta e puntuale, nonché la capacità di raccogliere i contributi di tutte la componenti del sistema protezione civile per giungere ad una nuova definizione dell’assetto complessivo. Sarà interessante seguire i nuovi sviluppi e soprattutto i nuovi equilibri che ne scaturiranno. 
La legge regionale n. 32/2001, "Sistema regionale di protezione civile",  individua le modalità di partecipazione della Regione Marche e degli enti amministrativi regionale all’organizzazione nazionale della protezione civile, anche mediante la collaborazione ed il concorso delle Province, dei Comuni e delle Comunità montane, nel rispetto della legislazione nazionale.

Al servizio regionale protezione civile e sicurezza locale compete, nel rispetto dell'indirizzo della Giunta Regionale ed in conformità con gli obiettivi fissati dagli organi di Governo, lo svolgimento delle attività in materia di:
  • Previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio;
  • Coordinamento degli interventi urgenti in caso di crisi determinata dal verificarsi, o dall’imminenza del verificarsi, di eventi naturali o connessi con le attività dell’uomo che per loro natura o estensione comportano l’intervento coordinato di più enti;
  • coordinamento per quanto di competenza delle attività di protezione civile e cura dei relativi rapporti con i soggetti e gli organismi interessati; 
  • programmazione della materia e promozione del volontariato;
    predisposizione, cura e sistematico aggiornamento di dati ed informazioni rilevanti per gli obiettivi della protezione civile; 
  • gestione della sala operativa in caso di emergenza;
  • ottimizzazione e funzionamento del Centro funzionale per la meteorologia;
  • collaborazione con le strutture regionali competenti per la gestione operativa di emergenze conseguenti a calamità naturali ed antropiche. I compiti specifici sono individuati dalle leggi di riferimento che ne definiscono gli strumenti, ne stabiliscono i compiti e ne individuano le risorse. In particolare con la Legge Regionale 11 dicembre 2001 n. 32 (coll. Ixt), il ruolo delle Amministrazioni Provinciali e dei Comuni ha assunto, nella gestione dell'emergenza un'importanza rilevante.
La Regione Marche aveva già “in cantiere” la proposta per la nuova legge regionale adeguata a quanto previsto dal D.L.Vo 112/98 e dal DPR. 194/01 quando è stato emanato il D.L.353/01, trasformato nella L.401/01 . Il lavoro congiunto della Commissione consiliare e dei funzionari del servizio protezione civile, ha consentito di modificare “in corsa” la proposta di legge per adeguarla alla nuova normativa. La legge è stata approvata nella seduta del 5 dicembre 2001 dal Consiglio regionale. Ci piace ricordare il fatto che l’approvazione è avvenuta all’unanimità, e che questo è un segno ulteriore del fatto che la protezione civile viene considerata dai più cosa di tutti, o, per usare un termine alla moda bipartisan

  • Legge Regionale 11 Dicembre 2001, N. 32 (Sistema regionale di protezione civile)

Il Codice di Protezione Civile: cosa cambia

Dal 2 gennaio 2018, il Servizio Nazionale è disciplinato dal Codice della Protezione Civile (Decreto Legislativo n.1 del 2 gennaio 2018), con il quale è riformata tutta la normativa in materia.  
A distanza di due anni dall’entrata in vigore del codice, con il Decreto Legislativo n.4 del 6 febbraio 2020 , sono stati introdotti alcuni correttivi: il più evidente riguarda la competenza sugli ambiti territoriali, oltre ad altre modifiche sostanziali anche nell'art. 18 del codice medesimo.

 

Il Codice nasce con l’obiettivo di semplificare e rendere più lineari le disposizioni di protezione civile, racchiudendole in un unico testo di facile lettura. Per rispondere a questo obiettivo di semplificazione, ogni articolo esplicita chiaramente le norme che sostituisce e, nei due articoli conclusivi (artt. 47 e 48), offre anche un coordinamento dei riferimenti normativi e l’elenco completo di tutte le norme che attraverso il Codice sono abrogate.

La riforma ribadisce un modello di Servizio Nazionale policentrico. Anche per questo il Codice è stato scritto in modo diverso rispetto ad altre norme ed è stato elaborato da un gruppo di redazione composto da rappresentanti di Dipartimento della Protezione Civile, Regioni, Comuni, Ministeri, Volontariato di protezione civile.

La prima proposta di riordino della normativa in materia di protezione civile è dunque frutto del lavoro di un gruppo misto e tale scelta ha influito sulla impostazione collettiva del Codice, nato da un confronto aperto su criticità e punti di forza della pregressa normativa in materia.

 

Ma perché l’esigenza di un riordino della protezione civile?

Dalla prima legge del Ministro dei Lavori Pubblici che nel 1926 regolamenta il tema del coordinamento “di protezione civile”, fino ad arrivare alla legge 225/1992, istitutiva del Servizio Nazionale, norme e modifiche seguono l’andamento storico e le emergenze del Paese. La volontà di riformare la normativa di protezione civile arriva quando la legge 225/1992 ha 25 anni e ed è già stata modificata in modo anche intensivo. Ulteriori variazioni e integrazioni di protezione civile, stratificate nel tempo, passano anche attraverso altri corpi normativi e tutti questi fattori rendono la lettura dell’ordinamento in materia molto difficile. Il nuovo Codice, che punta alla semplificazione, lo fa attraverso la consapevolezza che il mondo di oggi è complesso e che quindi anche la normativa in materia di protezione civile deve tenere conto di tale complessità, governandola. Disciplinando infatti attività di previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi, ma anche di gestione delle emergenze e loro superamento, il Codice ha l’obiettivo di garantire una operatività lineare, efficace e tempestiva.

Di seguito, per punti, alcuni elementi di novità introdotti dal Codice:

Previsione e prevenzione. In materia di previsione, il Codice prevede innovazioni relative allo studio anche dinamico degli scenari di rischio possibili. L’attività di previsione è propedeutica alle attività del sistema di allertamento e alla pianificazione di protezione civile. Relativamente alle attività di prevenzione si tiene conto dell’evoluzione della materia nel tempo esplicitando che l’ambito della prevenzione è sia strutturale sia non strutturale, anche in maniera integrata. La prevenzione non strutturale è composta da una serie di attività in cui spiccano l’allertamento e la diffusione della conoscenza di protezione civile su scenari di rischio e norme di comportamento e la pianificazione di protezione civile. La prevenzione strutturale è reintrodotta come “prevenzione strutturale di protezione civile”, a sottolineare l’esistenza di temi di protezione civile specifici quando si parla di prevenzione strutturale. Sono inoltre disciplinati gli interventi strutturali di mitigazione del rischio in ambito emergenziale. Si precisa infine la necessità di azioni integrate di prevenzione strutturale e non strutturale. 

Gestione delle emergenze nazionali. Prima del Codice, l’intervento nazionale, compresa l’attivazione di strumenti straordinari, era subordinata alla dichiarazione dello stato di emergenza. L’attivazione preventiva era rimessa all’autonoma valutazione degli Enti competenti.

Lo stato di mobilitazione, introdotto dal Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, supera questo limite e consente al sistema territoriale di mobilitare le sue risorse e di chiedere anche il concorso delle risorse nazionali, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza. Se l’evento si tramuta in calamità, si mette in moto la macchina emergenziale. In caso contrario, con un atto unilaterale del Capo Dipartimento si possono riconoscere i costi sostenuti da parte di chi si è preventivamente attivato.

Durata dello stato di emergenza. Il Codice ridefinisce la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale, portandola a un massimo di 12 mesi, prorogabile di ulteriori 12 mesi.

Pianificazione di protezione civile. Il Codice ribadisce il ruolo chiave della pianificazione e punta al superamento di una concezione “compilativa” di Piano in favore di una visione evoluta volta a rendere questo strumento pienamente operativo.

Rischi di protezione civile. Il Codice esplicita le tipologie di rischio di cui si occupa la protezione civile: sismico, vulcanico, da maremoto, idraulico, idrogeologico, da fenomeni meteorologicamente avversi, da deficit idrico, da incendi boschivi. Precisa inoltre i rischi su cui il Servizio nazionale può essere chiamato a cooperare: chimico, nucleare, radiologico, tecnologico, industriale, da trasporti, ambientale, igienico-sanitario, da rientro incontrollato di satelliti e detriti spaziali.

Comunità scientifica. Il Codice chiarisce i criteri di operatività nel Sistema di protezione civile, che vede ammissibili soltanto quei prodotti reputati maturi secondo le regole del mondo scientifico. La Comunità scientifica partecipa al Servizio Nazionale sia attraverso attività integrate, sia attraverso attività sperimentali propedeutiche.

Centri di Competenza. Il Codice codifica la funzione dei Centri di Competenza, la cui specificità è realizzare prodotti che possano essere utilizzati in ambito di protezione civile. I Centri di Competenza, diventano con il Codice strumenti dell’intero Sistema.

Partecipazione dei cittadini alle attività di protezione civile. Il Codice introduce il principio della partecipazione dei cittadini finalizzata alla maggiore consapevolezza dei rischi e alla crescita della resilienza delle comunità. Tale partecipazione può realizzarsi in vari ambiti, dalla formazione professionale, alla pianificazione di protezione civile e attraverso l’adesione al volontariato di settore.




LA RIFORMA 
Sono passati quasi altri dieci anni e viviamo una nuova stagione di modifica del sistema, che questa volta, non riguarda solo la protezione civile, basti pensare al fatto che è stato modificato anche il titolo V della Costituzione. Da tempo ormai l’esigenza di decentramento, federalismo e sussidiarietà è avvertita in buona parte del paese, ed è stata attuata con i vari provvedimenti definiti per brevità “Bassanini”. Con il Decreto legislativo 112  del  31 marzo 98 vengono definite, suddivise per ambiti di intervento,  le attività e le funzioni che in vari campi sono mantenute dallo Stato ed attribuite alle regioni ed alle amministrazioni provinciali
Alla Protezione Civile il D.L.vo 112 del dedica il capo VIII, articoli da 107 a 111.  In buona sostanza l’articolo 107 determina quali sono i compiti  mantenuti dallo Stato, o, per usare la dizione dell’articolo “hanno rilievo nazionale”; cerchiamo di esaminarli dividendoli per praticità in  grandi categorie. 
Nella prima vanno comprese le funzioni di indirizzo che sono:
1. l’indirizzo, promozione e coordinamento delle attività di tutto il sistema protezione civile ( amministrazioni dello stato centrali e periferiche, regioni, province, comuni, comunità montane , enti pubblici nazionali e territoriali ed ogni altra istituzione  pubblica e privata);
2. la determinazione dei criteri di massima  relativi ai programmi di previsione e prevenzione delle calamità, ai piani per fronteggiare le emergenze e coordinare le attività di soccorso, all’impiego coordinato delle componenti del sistema protezione civile, alla elaborazione delle norme in materia di protezione civile;
3. la fissazione delle norme generali di sicurezza per le attività industriali, civili e commerciali,
4. gli indirizzi  per la predisposizione e l’attuazione  dei programmi di previsione, prevenzione in relazione alle diverse ipotesi di rischio.
C’è da sottolineate che non abbiamo più un indirizzo “monocratico” ma  è  espressamente  previsto che tali funzioni vengano esercitate attraverso intese  nella conferenza unificata, e quindi raggiungendo un sostanziale accordo con gli enti principali destinatari di tali indirizzi, quelli cioè che sono chiamati a dare attuazione sul territorio a quanto stabilito.

Nella seconda categoria comprendiamo i compiti che devono essere svolti raggiungendo l’accordo,  non con tutte le regioni e gli enti locali, ma solo con quelli interessati, e quindi:
1. deliberazione e revoca dello stato di emergenza;
2. emanazione delle ordinanze per l’attuazione degli interventi di emergenza , per evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o cose, e per la ripresa delle normali condizioni di vita;
3. predisposizione dei piani di emergenza  in caso di eventi calamitosi di cui all’art.2, comma 1, lettera c) della L. 225/92.

Restano, nell’ultima categoria, non formalmente soggetti a concertazione preventiva i compiti relativi a:
1. soccorso tecnico urgente, prevenzione e spegnimento degli incendi e  spegnimento con mezzi aerei degli incendi boschivi;
2. le esercitazioni periodiche relative ai piani nazionali di emergenza;
3. la promozione di studi sulla previsione e prevenzione  dei rischi, naturali ed antropici.

L’art.108 del D.L.vo 112/98, dopo aver in via generale stabilito che sono conferite alle regioni ed agli enti locali tutte le funzioni non espressamente mantenute in capo allo Stato, determina le principali funzioni attribuite alle regioni ed alle province.

Le regioni  sono chiamate a svolgere le funzioni relative alla predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, agli indirizzi per la predisposizione dei piani provinciali di emergenza.  Inoltre, in emergenza, sono chiamate ad attuare  gli interventi necessari per l’attuazione di interventi urgenti in caso di crisi determinata dal verificarsi o dall’imminenza di eventi di tipo b), avvalendosi anche del corpo nazionale dei vigili del fuoco, per  il ritorno alle normali condizioni di vita, per lo spegnimento degli incendi boschivi (per la parte non di competenza dello stato), alla dichiarazione di esistenza di eccezionale calamità o avversità atmosferica. Sono ancora competenza delle regioni gli interventi per l’organizzazione e l’utilizzo del volontariato.

Le province sono chiamate a dare attuazione  alle attività di previsione e prevenzione, compresa l’adozione dei provvedimenti amministrativi connessi, alla predisposizione dei piani provinciali di emergenza nell’ipotesi si verifichino eventi di tipo b). Hanno inoltre il compito vigilare sulla predisposizione da parte delle strutture provinciali di protezione civile dei servizi urgenti, anche di natura tecnica, da attivare  in caso di eventi calamitosi del tipo b).

I comuni  sono chiamati all’attuazione delle attività di previsione e  degli interventi di prevenzione dei rischi sulla scorta  dei programmi e piani regionali, alla predisposizione dei piani di emergenza (anche in forma associata ed integrata, in funzione delle dimensioni dell’ente e della tipologia di rischio, esempio tipico il rischio esondazione), alla predisposizione dei provvedimenti della preparazione all’emergenza, quelli cioè necessari per assicurare il primo soccorso, ed evidentemente a prestarlo,  ed attuare i primi interventi urgenti in caso di emergenza, anche tramite le strutture locali di protezione civile, ed all’utilizzo del volontariato di protezione civile

Gli articoli 109,110 e 111  determinano la necessità di provvedere al riordino  di alcune strutture di protezione civile, compreso  il corpo nazionale dei  vigili del fuoco, l’agenzia nazionale per l’ambiente ed il servizio meteorologico nazionale.


E’ stata pubblicata il 21 novembre 2000, la legge n. 353 “Legge quadro in materia di incendi boschivi”, alla quale dovranno essere adeguate le leggi regionali entro un anno dalla pubblicazione. La sostanziale novità dettata dalla norma, per quanto attiene alle strutture del sistema protezione civile, è la forte accelerazione  che viene prevista per il coordinamento fra le strutture, che può essere simboleggiata dalla SOUP  (sala operativa unificata permanente).


Il D.L. 353 del 7 settembre 2001 convertito con modificazioni nella L. 401/01

il 7 settembre 2001 venne emanato,il D.L. 353, che, sostanzialmente, aboliva l’Agenzia Nazionale di Protezione Civile prevista dal D.L.vo 300/99, e riportava compiti e funzioni in capo al Dipartimento della Protezione Civile, pur salvaguardando il trasferimento di competenze previsto dal D.L.vo 112/98.
Le novità più rilevanti sono sostanzialmente nell’
Art. 5.  E’ il cuore, per così dire della riforma . Stabilisce quali siano i compiti del Presidente  del Consiglio,  o del Ministro dell’Interno da lui delegato, e cioè, in sostanza, determinare le politiche di protezione civile, detenere il potere di ordinanza (ricordate l’art. 5 della L.225/92?) e coordinare l’attività di tutte le componenti del sistema protezione civile, dettare, d’intesa con le Regioni, gli indirizzi operativi dei programmi di previsione e prevenzione, dei programmi di soccorso ed i piani per le conseguenti misure di emergenza. Vengono inoltre definiti gli organismi di partecipazione che sono: 
• un comitato  paritetico con rappresentanti delle Regioni e degli enti locali, per quanto riguarda le cosiddette strategie generali;
• la Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi, all’interno della quale siedono fra gli altri, due esperti designati dalle regioni ed un rappresentante del comitato nazionale del volontariato di protezione civile,che ha compiti di consulenza tecnico – scientifica;
• il comitato operativo della protezione civile (EMERCOM), all’interno del quale siedono fra gli altri, due esperti designati dalle regioni ed un rappresentante del comitato nazionale del volontariato di protezione civile. EMERCOM assicura la direzione unitaria ed il coordinamento  delle attività di emergenza ed è quindi un organismo che deve assicurare la rapidità delle decisioni. Ecco perché la legge prevede che coloro che partecipano ai lavori abbiano la piena rappresentanza della propria amministrazione.
Per dare attuazione alle proprie competenze il Presidente  del Consiglio si avvale del Dipartimento della Protezione Civile. Il Capo del Dipartimento della Protezione Civile dovrà, secondo le direttive del Presidente  del Consiglio, rivolgere a tutte le componenti del sistema protezione civile le indicazioni necessarie per garantire le finalità di coordinamento operativo.
Oltre alle attività fin qui descritte, il Dipartimento dovrà, d’intesa con le regioni e gli enti locali:
• promuovere lo svolgimento di esercitazioni, l’informazione alle popolazioni interessate  per gli scenari nazionali, e l’attività di formazione in materia di protezione civile;
• definire anche sulla base dei piani di emergenza  gli interventi e la struttura organizzativa necessaria per fronteggiare gli eventi calamitosi;
• formulare gli indirizzi ed i criteri previsti dall’art. 107 del D.L.vo 112/98 (vedere a pag. 8 e 9).
Una delle sostanziali novità rispetto all’assetto delle competenze esistente fino al momento dell’emanazione della legge è data dal fatto che, relativamente all’attività tecnico operativa  per assicurare  i primi  interventi in caso di   eventi di tipo C), il Dipartimento agisce in concorso con le Regioni, e queste si raccordano con  i prefetti ed i comitati provinciali di protezione civile, mentre in passato il rapporto diretto era Dipartimento – Prefetture. 
Art. 5. BIS. La disposizione di maggior rilievo è quella che prevede che possa essere emanata l’ordinanza  ai sensi dell’articolo 5 della L.225/92, anche in occasione di grandi eventi che possano rientrare nella competenza del Dipartimento, ma diversi da quelli per i quali è prevista la dichiarazione dello stato di emergenza. L’esempio classico può essere il Giubileo, che non determina uno stato di emergenza, ma che  per le sue caratteristiche richiede l’uso di strumenti giuridici flessibili e rapidi. 

Nel corso degli ultimi anni numerosi eventi hanno evidenziato la necessità di un’azione a livello europeo, come ad esempio il naufragio della Prestige, gli incendi nella foreste nell’estate 2003 e le esondazioni nel sud della Francia alla fine del 2003. Questi, ed altri, eventi hanno visto convergere l’aiuto di numerosi Stati membri ed hanno mostrato la necessità di una preparazione comune e di un’informazione reciproca. Al fine di promuovere la cooperazione, lo scambio e la reciproca assistenza tra i servizi della protezione civile degli Stati membri, numerose Decisioni del Consigliuo europeo hanno promosso attività e progetti finalizzati alla previsione e alla prevenzione dai rischi naturali, alla gestione delle situazioni di crisi, alla medicina delle catastrofi e alla creazione di rete comune tra i diversi sistemi nazionali di protezione civile. La Decisione fondamentale che ha approvato il Consiglio è sicuramente 2001/792/EC, Euratom, poi altre decisione sono conseguite per dare attuazione alla norma fondamentale.

Anche in ambito europeo, la legislazione in materia di protezione civile ha subìto, specie nel corso degli ultimi anni, numerose modifiche e aggiornamenti. Il Consiglio europeo, attraverso il proprio strumento legislativo (Decisione), ha promosso diverse iniziative e programmi volti alla cooperazione tra gli Stati membri, alla Formazione di personale qualificato, alla predisposizione di una banca-dati omogenea, alla creazione di una task-force pronta ad intervenire, in tempi rapidi, in situazioni di "maxi" emergenze che coinvolgono uno Stato in difficoltà oppure più Stati (come ad esempio l’esondazione del Reno). Non c’e dubbio che ciascun Membro appartenente alla Commissione europea si confronta quotidianamente con specifiche problematiche di varia natura relative al proprio territorio e, conseguentemente, ciascuno Stato affronta le emergenze sulla base della propria esperienza, in relazione al proprio assetto normativo e funzionale e sulla base del proprio Sistema nazionale di Protezione Civile. Di qui la necessità di uniformare, attraverso linee guida ed indirizzi operativi, i linguaggi e le procedure al fine di creare una struttura in grado di dialogare specialmente in situazioni "di emergenza". La struttura europea di Protezione Civile nasce con l’intento di mettere a confronto i diversi sistemi nazionali di Protezione Civile, le diverse strategie messe in atto per mitigare le conseguenze di eventi calamitosi. Di seguito, sono elencate solo alcune Decisioni del Consiglio Europeo relative alle tematiche di protezione civile; la principale di esse è la Decisione del Consiglio 2001/792CEper consultare la banca dati completa della legislazione europea si rimanda al seguente website address: Http://Europa.Eu.Int/Eur-Lex/En/Search/Search_lif.Html . L’accesso alla Directory of Community legislation in force, è il seguente: Http://Europa.Eu.Int/Eur-Lex/En/Lif/Index.Html. 

2001/792/EC,Euratom: Council Decision of 23 October 2001 establishing a Community mechanism to facilitate reinforced cooperation in civil protection assistance interventions pubblicata nell’Official Journal L 297 , 15/11/2001 P. 0007 - 0011.

A partire dal disastro nucleare del settembre 2005 verificatosi nella ex Unione Sovietica, ci si è resi conto che alcune maxi emergenze possono travalicare i confini nazionali e richiedere un istantaneo coordinamento degli apparati di sicurezza di una pluralità di paesi. Vi è, al fondo, l’esigenza di concordare forme e modalità, quanto più sollecite, di scambio di informazioni e di notizia sia nelle fasi preventive sia, a maggior ragione, nella gestione degli eventi emergenziali. Nel recente passato, si rammentano solo la devastante esplosione dell’impianto chimico AZF di Tolosa (Francia) che ha causato 29 morti nonché ingenti danni; la fuoriuscita di cianuro dalla miniera di Baia Mare (Romania) che ha contaminato parte del Danubio; i terremoti cha hanno colpito la Grecia e la Turchia provocando oltre 17.000 vittime e le devastanti inondazioni che hanno interessato la Germania e la Francia. Peraltro, alcune Nazioni hanno una specifica struttura preposta alla gestione delle emergenze: l’Italia, per effetto delle condizioni geomorfologiche e meteoclimatiche del proprio territorio, ha sviluppato specifiche e qualificate competenze per determinare tipologie di rischi: anche per questo appare indispensabile che si accresca il livello di interscambio di protezione civile culturale e di esperienza fra i paesi europei al fine di mettere a fattor comune le pratiche di eccellenza e omogeneizzare il più possibile la risposta continentale di protezione civile ed uniformare i linguaggi per la gestione delle emergenze. L’Unione europea sta strutturando forme di cooperazione tra gli Stati membri negli ambiti di protezione civile riconducibili al principio di sussidiarietà che prevede, in linea di principio, che ogni iniziativa sia avviata a livello ordinamentale e amministrativo più vicino alla comunità o realtà territoriale interessata dall’evento. 

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