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10/09/2001

PIANO ZOOTECNICO APPROVATO. AGOSTINI: ABBIAMO FATTO TESORO DELLA TRISTE ESPERIENZA DELLA BSE

Dall’emergenza mucca pazza al rilancio della zootecnia: è questo l’impegno che il Consiglio regionale ha assunto in due differenti occasioni, nel novembre dell’anno scorso e, a marzo, con una risoluzione che ha chiuso una seduta interamente dedicata all’agricoltura. Quell’impegno è diventato atto concreto con l’approvazione della giunta del Piano zootecnico: un documento articolato, che è l’occasione per fotografare il settore e analizzarlo, nel suo complesso e per singoli comparti. “E’ uno strumento di programmazione triennale, con al centro la qualità dell’impresa di allevamento e la salute del consumatore – dice l’assessore all’agricoltura Luciano Agostini – Una impostazione che oggi sembra scontata, ma non era così prima dell’emergenza BSE. Infatti oggi il principio assunto è quello della ‘massima precauzione’, essendo non ancora certe, a livello scientifico, le cause d’insorgenza della malattia. Il Piano anticipa alcuni elementi generali di impostazione strategica, che saranno puntualizzati meglio dal Piano Agricolo Regionale, già in fase di lavorazione.” Infatti la brutalità della BSE ha imposto una riflessione profonda sui metodi di allevamento, di cura degli animali, sulla coerenza tra ricerca di un ambiente più vivibile e l’attenzione ad esigenze e condizioni, vitali per gli animali ma anche per gli uomini, insomma non si può prescindere dalla qualità dell’impresa di allevamento. Agostini sottolinea che si tratta di un lavoro tutto interno alla Regione, che ha fatto tesoro dell’esperienza maturata nel corso dell’emergenza, dove ha funzionato una sinergia tra professionalità e sensibilità differenti. Il settore oggi deve fare i conti anche con più problemi: un cambiamento dei consumi, diminuiti e distribuiti in maniera diversa tra i singoli comparti (carne bovina, ovina, caprina, avicola), una tendenza alla omogeneità dell’offerta, dopo che la normativa si è omologata a livello europeo e i crescenti costi di gestione degli allevamenti. Per far fronte a questa nuova complessità il Piano individua tre linee di azione così riassumibili: - miglioramento della qualità, tracciabilità e certificazione delle produzioni, - azioni complementari di supporto, - promozione e valorizzazione delle produzioni. Miglioramento della qualità Il prodotto marchigiano per essere scelto deve essere riconoscibile ed concorrenziale rispetto ad altri. Non è quindi sufficiente garantire la qualità e il controllo di tutta la filiera (tracciabilità), ma bisogna che aggiunga quel qualcosa in più che lo rende “migliore”. Si può lavorare sulla conduzione dell’allevamento e sull’alimentazione del bestiame: un ritorno alle foraggere è quindi previsto, come necessaria alternativa non solo alle farine, ma anche ai mangimi a base di soia transgenica. Una simile scelta verrà assunta nel PAR e diventerà strategica anche per garantire una corretta gestione del territorio e un arricchimento della fertilità del terreno. Azioni complementari di supporto Per abbattere i costi che il settore sta sopportando sono stati individuate alcune linee di intervento. Intanto occorrerà realizzare dei centri di stoccaggio del materiale a rischio (tutte le parti molli che devono essere distrutte), in modo da rendere più funzionale e quindi meno incidenti una serie di voci che gravano sui bilanci degli allevamenti. Per gli allevamenti bovini, in seguito all’emergenza BSE, tali costi sono sostenuti interamente dal pubblico - dal Governo e dalla Regione - attraverso un sistema di convenzione con una struttura esterna. Occorre allargare tale meccanismo anche agli altri comparti. Inoltre vanno resi più funzionali i servizi di assistenza tecnica alle imprese: ad oggi risultano sulla carta 69 tecnici per gli allevamenti e 92 altri tecnici per le aziende agricole nel suo complesso: un meccanismo che comporta costi elevati per la Regione, ma che oggettivamente non appare sfruttato appieno. Così come è necessario rendere più organico il rapporto della Regione con il sistema della ricerca e dell’Università, che è discontinuo e casuale. Promozione e valorizzazione E’ assolutamente chiaro che lo sforzo che va intrapreso non può che concludersi con una serio sostegno dell’immagine del prodotto marchigiano, con la politica dei marchi e una diffusa campagna di sensibilizzazione ed educazione alimentare. Il Piano inizia così il suo iter legislativo: verrà presto discusso nella commissione agricoltura per essere poi approvato dal Consiglio regionale. Va comunque precisato che il documento ha avuto l’assenso del “Tavolo verde”, a cui partecipano le principali organizzazioni agricole, della cooperazione e sindacali. (e.r.) ALCUNI DATI La zootecnia nelle Marche è stato settore di rilievo fino agli anni ’60 e la sua valenza si giustifica con le particolari caratteristiche del territorio, di collina asciutta, dove il sistema della rotazione colturale era funzionale all’impresa agricola a gestione familiare, per lo più senza specializzazione. Un equilibrio che è stato gradualmente abbandonato quando si è imposto un modo diverso di fare agricoltura, “più di rapina”, legata anche al sostegno comunitario. Solo alcuni dati che forniscono comunque elementi per una riflessione. - Nel comparto bovino le aziende passano da 54.976 del 1970 ai 5.853 del 1998 e i capi dai 418.539 ai 87.760. Stessa sorte per i suini e i conigli. Diverso per il comparto ovi-caprino: aumentano le aziende, ma soprattutto i capi. Quanto agli avicoli, diminuiscono le aziende, ma crescono i capi, essendo ormai questo un settore, strettamente collegato all’industria di trasformazione. - La specializzazione aumenta in tutti i comparti, meno che per i conigli. In particolare per i bovini si passa dai 7.6 per azienda, nel 1970, ai 15 del 1998. Comunque, negli ultimi 10 anni, la contrazione delle aziende zootecniche è più accentuata rispetto a quella registrata per le aziende agricole nel suo complesso. Infatti, per queste ultime il calo, dal 1990 al 2000, è stato del 17.5%, mentre per le aziende zootecniche del 29%. - Il confronto 1999-2000 mette in evidenza una variazione percentuale delle aziende con allevamenti sulle aziende totali fortemente diversa per province: quella di Ancona registra la contrazione maggiore, seguita da Pesaro-Urbino, da Ascoli e da Macerata, dove c’è una sostanziale stabilità. - Gli allevamenti rimangono legati alle aree interne collinari, per oltre l’86%, distribuzione leggermente diversa rispetto a 10 anni fa, dove c’era una maggiore presenza di allevamenti di montagna. Elemento giudicato negativamente dal Piano, che sottolinea come una delle poche opportunità per l’agricoltura in montagna sia proprio la zootecnia estensiva. - Nel periodo 1990-97, le entrate delle produzioni zootecniche aumentano, nonostante il calo del patrimonio. A livello nazionale la PLV rimane costante e si attesta sul 39.5%, mentre nelle Marche passa dal 33.8% al 35.1% del valore dell’intera produzione agricola. - La parte del leone la fa il settore carni, per oltre l’80%. Latte e uova - e in misura minore miele, cera e lana - si dividono il restante 20%. - Per quanto riguarda il comparto bovino, la diminuzione risulta consistente in termini quantitativi dal 1990 al 1994, mentre poi si assiste ad un parziale recupero. Un dato che viene interpretato positivamente. RAZZE AUTOCTONE Un paragrafo a parte va dedicato alle razze locali e autoctone, dei vari comparti del settore zootecnico, perchè anche questa è una strada per esaltare gli elementi qualità, specificità, tipicità, esaltando l’indispensabile collegamento produzione-territorio. Sono quattro le razze autoctone: Razza bovina marchigiana – si è verificata una contrazione progressiva dei capi, con il passaggio degli oltre 600 mila degli anni ’50, agli attuali 35 mila, di cui solo 22.100 iscritti al Libro Genealogico. Razza ovina Sopravissana – anche qui un fortissimo ridimensionamento degli allevamenti, prima presenti sulla dorsale appenninica. Ora ci sono solamente 4-5 aziende che contano complessivamente 1.000 capi iscritti. Razza ovina Fabrianese – è di recente istituzione, risale agli anni ’70 con l’incrocio tra pecore locali e arieti bergamaschi: non ha avuto la diffusione sperata e oggi conta 3.643 capi iscritti. Cavallo del Catria – si può fare un discorso analogo al precedente. Oggi ci sono 86 allevamenti per un totale di 380 cavalli e la razza non è di fatto uscita dai confini dell’areale del monte Catria.